Aree Rurali, Società Rurali e Mercati del Lavoro

di Roberto Esposti e Franco Sotte - n. 4, settembre 1998.

Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea (Project FAIR3 CT96-1766)

"Agriculture and employment in the rural regions of the EU (RUREMPLO)"

 

"Aree rurali, società e mercati del lavoro"

Settembre 1998

 

Note sull’autore: Roberto Esposti
Ricercatore presso l'Università degli studi di Ancona.
Autore di diversi saggi su temi di Economia Agraria ed Economia del Territorio.

Note sull’autore: Franco Sotte
Franco Sotte è professore di Economia e Politica Agraria e docente di Economia regionale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Ancona nonché Presidente dell’Associazione "Alessandro Bartola", è autore di numerosi studi riguardanti la politica agraria in Italia e in Europa. Nella sua ricerca particolare attenzione è dedicata alla spesa pubblica per l’agricoltura e alla dimensione regionale nell’economia e nella politica agraria.

INTRODUZIONE
Il recente sviluppo industriale del Nord-Est-Centro, fondato sulle piccole e medie dimensioni di impresa, sulla specializzazione e sulla concentrazione in distretti industriali, viene spesso portato ad esempio come un caso vincente di sviluppo endogeno, dal basso, prodotto dalle spesso povere risorse locali ma da uno spiccato senso di iniziativa e di impresa, capace di sfruttare le opportunità di mercato di volta in volta presentatesi.

Tra tutte le realtà coinvolte, le Marche rappresentano probabilmente la regione che maggiormente sublima queste caratteristiche nella sua vicenda di sviluppo industriale. Più di altre regioni, le Marche sono esempio di un processo di industrializzazione spesso definito rurale, fondato sulle risorse, lavoro, risparmio e terra, della famiglia rurale allargata; sviluppo legato inscindibilmente al territorio e alla sua origine agricola mezzadrile, in cui la capacità imprenditoriale e innovativa è stata incubata e nella cui struttura sociale trova le ragioni ultime dei suoi vantaggi competitivi.

Una regione rurale anche per la assenza di concentrazioni urbane o metropolitane; nessuna città oltre i 100.000 abitanti e solo tre oltre i 50.000. Assenza, dunque, di un centro che sia chiaro riferimento culturale, motore di sviluppo economico e a cui si possa attribuire un ruolo di condizionamento dei percorsi di sviluppo regionale. Non è questa la realtà di altre regioni a simile percorso di sviluppo; l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Veneto, la stessa Umbria, in tutte queste regioni la dimensione rurale convive con significative realtà urbane e in esse si può comunque spesso configurare un rapporto gerarchico centro-periferia dietro i percorsi di sviluppo industriale diffuso.

Da questo punto di vista le Marche, assai più di altre regioni, sarebbero esempio di come lo sviluppo di una industria competitiva nelle aree rurali che sappia fare da traino dello sviluppo di una intera regione, città comprese, possa smentire le teorie della localizzazione fondate sui rapporti gerarchici tra centro e periferia. Le aree centrali, secondo queste teorie, beneficiano di vantaggi competitivi (o in virtù di economie di scala oppure di percorsi di accumulazione circolare) che tendono a permanere e ad accentuarsi, rispetto alle aree decentrate a sviluppo e distribuzione delle risorse diffusi. Lo sviluppo periferico è dunque possibile, ma solo nei termini di una diffusione dal centro, che rimane gerarchicamente prevalente.

Nel caso marchigiano, però, tale rapporto gerarchico chiaramente è mancato e la matrice originaria dello sviluppo si radica nelle aree periferiche, rurali. In questo lavoro, si intende affrontare il tema della natura rurale del caso marchigiano mediante una analisi dello sviluppo recente delle province di Pesaro e Macerata. Si tratta delle due province che bene rappresentano il percorso di sviluppo regionale. Entrambe sono caratterizzate da centri urbani di piccole e medie dimensioni, hanno sviluppato concentrazioni industriali, il distretto del mobile (Pesaro) e della calzatura (Macerata), capaci di sostenere la competizione a livello globale, e continuamente di trasformarsi e adattarsi. Al di fuori di tali concentrazioni, entrambe le province sono caratterizzate da una realtà sfumata in cui, accanto ad altre realtà industriali minori di successo, sono presenti zone di ruralità estrema, come le aree montane, aree di declino industriale e aree non estreme in cui comunque il successo industriale non è mai arrivato.

Le due province sono dunque un laboratorio interessante per analizzare a fondo la natura rurale dello sviluppo. Ciò che si vuole mettere in discussione non è la sua matrice originaria, quanto il processo di sviluppo spontaneo. Se è vero che l’origine è decentrata, diffusa e perciò rurale, gli stadi successivi, mediante processi spontanei di auto-organizzazione e selezione, hanno condotto verso un modello gerarchico in qualche modo concentrato che, intrinsecamente, "digerisce" i fattori "non gerarchici" originali.

Il lavoro è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo viene affrontata la questione della definizione di ruralità; la variabile demografica è cruciale allo scopo e, perciò, verranno analizzate le dinamiche della popolazione nelle due province e i legami con lo sviluppo economico e industriale. Tali legami si esprimono in un processo cumulativo di concentrazione che genera un divario tra aree delle stesse province e un effetto di ritorno sull’uso delle risorse del territorio e, di conseguenza, sull’attività agricola.

Nel terzo paragrafo si affronta la questione cruciale della relazione inscindibile tra il percorso di sviluppo descritto e l’evoluzione del mercato del lavoro. La divaricazione tra i processi di sviluppo tra aree all’interno delle stesse province genera una

divaricazione tra i differenti mercati del lavoro locali.

In particolare, là dove i processi di cumulazione sono più accentuati, i caratteri originari del mercato del lavoro propri delle società rurali vengono perduti, nonostante continuino ad essere necessari al funzionamento dei sistemi locali, soprattutto industriali. Ne conseguono effetti talvolta perversi nei sentieri evolutivi delle due province in cui dinamiche occupazionali e di crescita possono separarsi e segmentarsi. Questi fenomeni locali e intrinseci, forse ancor più che la globalizzazione e i competitori internazionali, generano potenziali problemi futuri nella sostenibilità del percorso di crescita intrapreso. Nelle aree di minore concentrazione, di riflesso, dove pure permane un più elevato grado di ruralità, si rischia una progressiva perdita di capacità endogena di sviluppo

Chiudono il lavoro alcune considerazioni conclusive.

 

INDICE

  1. INTRODUZIONE
  2. AREE RURALI E SOCIETA' RURALI
  3. L'EVOLUZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO
  4. CONCLUSIONI
  5. BIBLIOGRAFIA